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Comunicare o non comunicare durante la crisi?

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di Andrea Ciulu

31 marzo 2020

coronavirus covid-19 comunicazione crisi Crisis Management

Nella situazione di paralisi prodotta dalla pandemia, molti brand si trovano in una situazione di stallo, incerti se comunicare o meno per timore di una ripercussione negativa. Ovviamente, la risposta è nel mezzo, più esattamente nel come si comunica.

 

Di sicuro, questo non è il momento per pensare alle vendite a breve termine. A meno che il nostro prodotto o servizio non sia di immediata utilità nella situazione corrente, è consigliabile posticipare le comunicazioni più push, che saranno avvertite dai destinatari come inopportune e quasi offensive.

Di contro, possiamo e dobbiamo concentrarci sulla percezione a lungo termine dei brand. Su questo, le crisi precedenti hanno molto da insegnarci.

Comunicare in piena crisi

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Uno studio relativo alla crisi del 1974-75 rileva come i brand che hanno continuato a investire in comunicazione durante questi due anni siano poi cresciuti notevolmente più di quelli che hanno "chiuso i rubinetti". Una logica non dissimile emerge dallo studio Kantar / BrandZ sulla crisi del 2008: i brand "forti" si sono ripresi nove volte più velocemente rispetto allo standard S&P 500.

 

Anche lo studio Millward-Brown "What happens if I stop advertising?" conferma che per un brand un'interruzione degli investimenti pubblicitari si traduce, nel lungo periodo, in una perdita di quota di mercato e in una riduzione nelle metriche di brand. Infine, solo l’8% dei consumatori pensa che i brand debbano smettere di comunicare in questo momento.

 

 

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3 regole per comunicare nel breve periodo

Comunicare, quindi, si può e si deve. Ma come? Non stiamo vivendo un momento qualsiasi. Nell’immediato, dobbiamo rispettare lo stato d’animo del nostro pubblico e adeguare i nostri messaggi di conseguenza: empatizziamo, riduciamo, rassicuriamo.

 

Empatizziamo: evitiamo il legalese e mostriamo di capire le preoccupazioni dei clienti. È facile sbagliare tono di voce se ci limitiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto. Il marketing deve uscire dalle logiche di automazione e mostrare di avere un cuore. Diventare realmente human-centered. 


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Riduciamo: comunichiamo solo ciò che è essenziale: il mood collettivo è di sobrietà. La crisi economica, la paura e la quarantena spingono le persone a moderare i consumi, a tararsi su uno scenario (reale o percepito) di scarsità. Invitare al consumo senza freni in questo momento è irresponsabile e fuori luogo. Un brand che vuole giocare un ruolo positivo deve pensare a fondo a ogni singola comunicazione: è necessaria o no?

 


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Rassicuriamo: spieghiamo che stiamo cambiando i processi e aumentando igiene e sicurezza. I brand devono iniziare a vedersi per come li vedono i consumatori: delle istituzioni, dei pilastri da cui ci aspettiamo delle certezze.
Nell’immediato, le persone devono sapere che stiamo facendo il possibile per rendere sicuri i nostri prodotti e, alla riapertura, i nostri negozi.

 

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Tutti i brand oggi sono nel business del servizio pubblico.

(Edward Cotton - Head of Strategic Counsel, American Association of Advertising Agencies)

Più azioni, meno racconti

In questo momento, i brand possono giocare un ruolo importante, quasi istituzionale, nel sostenere la comunità.

 

Serve però un cambio di mentalità. Dobbiamo uscire dalla logica del puro storytelling, degli stunt di comunicazione realizzati solo per l’eco che avranno sui social. Basti pensare ai tanti brand che sono saltati sul carro del "social distancing" ridisegnando il proprio logo e distanziandone gli elementi. Iniziative autoreferenziali che in questo momento non aiutano nessuno e che non a caso hanno scatenato critiche anziché apprezzamenti.

 

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In questo momento più che mai, Acting > Storytelling. Quello che fai conta cento volte più di quello che dici. Perché nel "context collapse" dei social media la tua campagna social e le notizie che ti riguardano scorrono sullo stesso feed. Un caso eclatante è quello di McDonald’s: mentre la divisione brasiliana del brand usciva con la campagna social degli "archi distanziati", i sindacati dei dipendenti protestavano per le condizioni di lavoro non sicure che li esponevano al contagio. Secondo voi quale racconto ha avuto la meglio?

 

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Come cambia il pubblico nel lungo periodo

Mentre ci adattiamo alle condizioni del momento, dobbiamo tenere d'occhio il modo in cui le persone stanno reagendo alla situazione, su due piani: tecnologico e valoriale. Questi cambiamenti ci interessano perché modificano in modo radicale il terreno di gioco.

 

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Sul piano
 tecnologico, gli utenti e alcune istituzioni stanno sperimentando nuovi modi per aggirare (virtualmente) il lockdown. Ad esempio con delle visite virtuali a musei e attrazioni: è il caso dello Shedd Aquarium che pubblica su Facebook un tour virtuale dell’acquario con protagonisti due dei suoi pinguini, ma anche del Museo Egizio di Torino, con le Passeggiate del Direttore. Anche la musica e il divertimento trovano nuove strade. Hanno iniziato i giovani cinesi, con i rave su TikTok. Ma anche negli USA la festa è andata avanti, con DJ D Nice e il suo Quarantine Party: un dj set di 10 ore su Instagram Live a cui hanno partecipato, tra gli altri, Michelle Obama, Oprah Winfrey e Missy Elliot. La modalità "virtuale" sostituisce anche lezioni in palestra, il dating (Ok Zoomer), l'aperitivo (WFHappy Hour) e le serate cinema tra amici (Netflix Party). Per arrivare ai ragazzi giapponesi che, costretti in casa, festeggiano il raggiungimento del diploma su Minecraft. Se alcune di queste soluzioni sono risposte temporanee all’emergenza, altre rimarranno e diventeranno nuove forme di socializzazione.

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Sul piano culturale i cambiamenti sono più profondi. Il lockdown che ha coinvolto oltre 3 miliardi di persone sulla Terra ha assunto i contorni di un esperimento globale senza precedenti. Stiamo sperimentando un modo di vivere diverso che non può non innescare alcune riflessioni sul nostro modo di vivere attuale:

  • Family Reboot
    Passiamo molto più tempo con le nostre famiglie di quanto ne abbiamo mai passato fino ad oggi. Questa convivenza forzata, pur con le sue difficoltà, ci spinge a ripensare il nostro ruolo in una chiave più attiva e coinvolta. 

    Community Healing
    Un’epidemia che colpisce soprattutto (ma non solo) la popolazione più anziana obbliga tutti noi a ragionare come comunità, non più come individui. Questo ripensamento dell’individualismo e questa riscoperta dell’interdipendenza sono un piccolo terremoto per la cultura occidentale.

    Panic Planning
    D’improvviso, i nostri piani non sono più validi. C’è una crisi economica dietro l’angolo e ci sembra molto più profonda e meno gestibile delle altre. Questo cambia e cambierà i nostri atteggiamenti, sia in termini di progetti che di consumi. 

    Privacy Stress
    Il monitoraggio associato alle misure di contenimento ha mostrato il lato oscuro della tecnologia, accelerando una presa di coscienza che era già in corso.

    Green Dreaming
    La sospensione delle attività umane ha ripulito in poche settimane cieli e mari, di cui la natura si è prontamente riappropriata. Abbiamo così potuto vedere uno "scenario alternativo" che sarà spesso rievocato nel dibattito ambientale dei prossimi anni.

 

Un pubblico con nuove abitudini e nuovi valori ci imporrà - forse non oggi, ma di certo in futuro - di rivedere e riadattare la nostra comunicazione. Iniziare a farlo già oggi è il modo migliore di restare rilevanti e arrivare pronti al momento della ripresa.

 

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