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Il Design Thinking: dalle università americane alle serre di Marte

Picture of Silvia Cefaro

di Silvia Cefaro

18 luglio 2017

post-digital design thinking

Il Design Thinking è una metodologia che ha preso piede da diversi anni, specialmente nel mondo anglosassone, e che viene ora insegnato nella maggior parte delle università americane. È ispirato al processo creativo che si utilizza nel design, riadattato per affrontare e risolvere problemi in ambiti diversi, spesso anche in contesti di business.


Tim Brown, CEO di IDEO - la famosa società di consulenza e design per l’innovazione delle aziende - lo definisce

...un approccio all’innovazione centrato sull’individuo, che utilizza gli strumenti propri dei designer per integrare i bisogni delle persone, le opportunità date dalla tecnologia ed i requisiti necessari per un business di successo”.



Come funziona il Design Thinking?


Il processo del Design Thinking è generalmente composto da cinque fasi.


(1) Empathize

Il primo passo è osservare direttamente la realtà del cliente ed immergersi nel contesto in cui si trova, anche con il supporto di ricerche qualitative. Solo così possiamo entrare veramente in empatia e individuarne i reali bisogni.


(2) Define

Un passaggio fondamentale, che ha l’obiettivo di definire chiaramente il cuore del problema. Per questo si realizzano spesso interviste con la tecnica del laddering, ovvero chiedendo all’intervistato il perché di ogni risposta fino ad arrivare alle sue motivazioni profonde.


(3) Ideate

È la fase di brainstorming: qui si verifica la classica scena da film, in cui ognuno propone più idee possibili, che vengono scritte e disegnate su post-it colorati, in modo da visualizzarle meglio. Una delle tecniche che viene utilizzata più spesso nel Design Thinking è quella di chiedersi “How might we?”: ci si domanda in che modo si potrebbe soddisfare il bisogno del cliente. In questo momento è importante la quantità di idee generata, non la loro qualità o fattibilità.


(4) Prototype

A partire dalla grande quantità di idee generate, il gruppo sceglie quelle che appaiono più adatte, concentrandosi su una di esse e costruendo un prototipo.


(5) Test

Il prototipo viene provato da un cliente, con l’obiettivo di raccogliere feedback e capire se l’idea può funzionare o meno, ed eventualmente quali miglioramenti siano necessari. In quest’ultima fase è necessario l’intervento di un facilitatore, che guidi l’utente nel test e lo aiuti a descrivere le sue percezioni e impressioni durante l’esperienza.


Si tratta di un processo flessibile e non lineare, poiché le diverse fasi possono anche seguire un ordine differente o essere ripetute: può capitare ad esempio che durante il test emergano nuove idee e che quindi si riparta dalla fase di ideazione. Inoltre, è un procedimento di co-creazione con il cliente, che si trova sempre al centro di ogni decisione.



Il valore degli errori nel Design Thinking


Una delle prime regole dettate da chi insegna Design Thinking negli Stati Uniti è “celebrate mistakes”: gli studenti devono applaudire i loro errori e incoraggiarsi a vicenda a farne il più possibile. Inutile commentare lo scetticismo con il quale viene accolta una richiesta simile da una classe di studenti di economia.


Lezione dopo lezione, però, anche i più dubbiosi comprendono che in fondo è una filosofia necessaria: non tanto per il classico detto “sbagliando si impara”, quanto perché spinge a buttarsi e a dare voce a tutte le idee, anche quelle che sembrano più assurde e che normalmente sarebbero scartate a priori.



Le patate di “The Martian”: un esempio brillante di Design Thinking

Possiamo ammirare un esempio eccellente del processo di Design Thinking nel film di Ridley Scott “The Martian”, con protagonista l’astronauta Mark Watney (Matt Damon). Erroneamente creduto morto e abbandonato su Marte, Watney è costretto ad ingegnarsi per trovare un modo per sopravvivere fino al ritorno dei suoi colleghi.

 

 

Essendo un botanico, riesce a inventare un brillante metodo per coltivare patate all’interno del presidio di appoggio della NASA: servendosi dei tuberi rimanenti, fertilizza il terreno con rifiuti umani e utilizza l’idrazina in eccesso del combustibile per convertirla in acqua. Quest’ultimo passaggio però non è affatto semplice: questa scena ci mostra proprio il disastroso incidente dovuto a calcoli errati che lo costringerà a ricominciare tutto da capo.   


Pur in una situazione estrema, l’approccio dell’astronauta riassume bene la filosofia del Design Thinking: dobbiamo ritrovare la nostra curiosità dei bambini, quando annoiavamo i nostri genitori con una serie di “perché” su ogni cosa, senza essere prevenuti su nessuna idea, da più punti di vista e infine e soprattutto senza paura di sbagliare.

Sarà sicuramente meno complicato di quanto lo è stato per Matt Damon.

 

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